venerdì 9 marzo 2012

TESI 2009/2010: Francesca Fiorini e Michele Picariello

IL RACCONTO

La città di Yonaa

Eravamo pronti al lancio, con i nostri paracaduti in spalla, per atterrare ad esplorare questa luce misteriosa e sconosciuta. Di essa ci si accorge a distanza: i suoi fasci irradiano il cielo, illuminano tutto, sempre, ogni angolo della città, non si spengono mai.
Scendevamo di quota, sospesi nel vuoto e più ci avvicinavamo più venivamo avvolti da questa luce intensa, abbagliante, che ci impediva di cogliere informazioni, captare qualsiasi forma, colore, corpo che la componesse. E così per metri e metri di discesa come se fosse una protezione per ciò che nascondeva…volavamo nell’incognito...piano piano l’intensità luminosa diminuì, diventò più leggera, trasparente: qualcosa cominciava a filtrare e figure apparivano ai nostri occhi. Toccammo qualcosa…una superficie stabile, solida sotto i nostri piedi. Disorientati ci guardammo intorno. Ci sentivamo piccoli rispetto alle imponenti strutture che ci circondavano: tanti volumi, pieni, vuoti, alti, bassi, di fronte ai nostri occhi tutto un collegamento di materia, di luce; come dei tunnel, si incastravano tra loro, organizzavano lo spazio, il vuoto, seguendo regole di addizione e sottrazione di materia e nella materia. Chiedemmo ad un passante dove ci trovavamo, in che luogo fossimo atterrati. Ci rispose: “Siete a Yonaa… la città che non si spegne mai”. Ci guardammo incuriositi, forse eravamo nel posto giusto per un nuovo ed avventuroso viaggio…
“Cosa vuol dire la città che non si spegne mai?”. “Dovete sapere miei cari, Yonaa è una città molto particolare: non si può comprendere la città se non si conosce la sua storia…

”Anni fa, un esploratore, vagando per lo spazio, in uno dei suoi numerosi viaggi, fu attirato da una minuscola sorgente luminosa che brillava in lontananza... talmente piccola ma talmente intensa che ne rimase abbagliato. Si avvicinò pensando che fosse un frammento di una qualche stella e decise di volerlo prendere e portarlo con sé come ricordo del suo viaggio, ma quando fu lì lì per afferrarlo si accorse che non ci riusciva: provò e riprovò, ma niente. Quel bagliore era immateriale, intangibile, etereo, astratto…era semplicemente Luce.
L’esploratore sbalordito, ne rimase talmente colpito e affascinato che non volle più separarsene e decise di continuare la sua vita vicino a quella luce, con quella luce, in quella luce. Una semplice costruzione, regolare, quasi in contrasto con tutto ciò che c’era intorno; un blocco di materiale grezzo, pieno, imponente, pesante che poco alla volta veniva scolpito, bucato…e fessure, tagli, vuoti prendevano forma…si creavano gli spazi dell’abitare, e la luce entrava, filtrava in ogni millimetro della casa...riempiva questo vuoto e lo faceva pieno…
E allora ecco che si perde la concezione di spazio, di aperto e chiuso, di pieno e vuoto, di luce e di buio. Ogni spazio abitativo assolve alle esigenze primarie dell’uomo, senza eccessi o cose superflue. Gli interni sono semplici come il motivo stesso della loro esistenza…la luce.
Da questa prima e solitaria costruzione nel vuoto, chiunque passava rimaneva folgorato dalla bellezza e dall’effetto che questi due elementi uniti producevano nello spazio. Cosi persona dopo persona costruivano nello stesso modo le loro abitazioni li, e si creò nello spazio questo incastro di volumi…nacque cosi la città di Yonaa…”.
Gli abitanti si spostano attraverso questi volumi come fossero strade, dei sali scendi continui, abitano all’interno liberi di muoversi, senza gerarchie. Ognuno vive gli spazi come preferisce. Diventa un vivere soggettivo, qualcuno vive nel pieno, qualcun altro nel vuoto, altri ancora vivono nel pieno della luce…

IL PROGETTO

Vivere l'Infinito

Uno spazio destabilizzante, dove ogni regola, ogni oggetto, ogni persona, ogni sensazione, ogni percezione viene messe in gioco, viene portata ad una condizione ridondante di riflessione, in un altra dimensione che tende all’infinito.
E allora è lecito chiedersi se si vuole fuggire dalla realtà trovando rifugio in questa dimensione infinita o se si vive questa dimensione per trovare e ritrovare costantemente la realtà.
   

modello preliminare di studio

Lo spazio interno è creato dall’utilizzo di materia in blocchi e dall’assemblaggio di questi secondo regole ortogonali. Per definire il senso di infinito è stato utilizzato lo specchio, in modo che ci sia una riflessione continua infinita, sempre e in ogni punto dell’abitazione.
La struttura interna dell'abitazione è costituita dalla agglomerazione di parallelepipedi in legno con base standard di cm 40x40 e lunghezza variabile. Questi volumi si sovrappongono, si incastrano tra loro in verticale e orizzontale, sempre in modo ortogonale, creando al tempo stesso l’ossatura e l’arredo dell’abitazione.
Questa particolare composizione fa sì che si crei un un gioco di pieno e vuoto della materia, con la materia: il pieno dato appunto da questi volumi massicci, il vuoto dato dai buchi che l’intersezione dei volumi crea.
I moduli sono completamente riflettenti in quanto rivestiti di specchi: questo fa sì che ogni volume della struttura, ogni persona, ogni oggetto all’interno sia rispecchiato all’infinito. Tutto ciò crea quindi un effetto di destabilizzazione per l’abitante della casa.
Non ci sono complementi di arredo al di fuori dei sanitari e degli elettrodo¬mestici (che sono appunto gli unici elementi fissi della casa).
Per il resto ogni ambiente puo essere interpretato e vissuto soggettivamente dall’abitante.
Questo spazio nonostante sia ordinato, crea un senso di instabilità e di alterazione della percezione: l’abitante si trova destabilizzato a causa della riflessione degli specchi e della combinazione dei volumi.


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